martedì 26 gennaio 2010

quando il tempo impazzì


In principio, fu il giorno.
Poi, la notte.
Andò avanti così per un po'.
Il Tempo e lo Spazio, per gli amici Kronos e Vector, vivevano insieme,  in un loft sul monte Olimpo, soli ma felici, indisturbati e innamorati.
Vector era sempre in movimento, andava in giro per i boschi, preparava succulenti pranzetti a base di geometria euclidea ed era sempre pieno di entusiasmo. Kronos preferiva la vita contemplativa, amava la lettura e passava ore a guardare fuori dalla finestra.
Un triste giorno, Kronos si svegliò e non trovo più Vector al suo fianco.
-Dove sei finito, Vector? gridò piuttosto adirato.
-Sono partito. Quel loft era troppo piccolo per noi due. Avevo bisogno di spazio.
-Ma tu sei lo spazio, idiota.
-Appunto. Ho deciso che per essere felice, dovevo essere dappertutto, e contemporaneamente da nessuna parte.
-Va bene, come vuoi. Contento tu... concluse Kronos, cercando con falsa noncuranza di dissimulare un palese disappunto. -Tanto, io sto bene anche da solo.
Da quel momento Kronos tacque. Le giornate senza Vector non erano più le stesse, ammise a sé stesso. Non che si annoiasse, sapeva di essere un vecchio burbero e l'idea di finire in uno di quei party per titani, così rumorosi e vuoti, gli aveva sempre fatto un certo ribrezzo.
Gli piaceva la compagnia di quel simpatico casinista di Vector, anche se lasciava sempre i vestiti piegati male sulla sedia o appallottolati in cucina. E mai una volta che lavasse i piatti, per Zeus!
-Devo assolutamente trovare un modo per appagare i miei bisogni sociali! -si disse un giorno.
L'idea gli venne, naturalmente, guardando fuori dalla finestra, attività che occupava una grossa fetta delle sue giornate. Si comprò un binocolo, e si mise a osservare quei curiosi esserini che si muovevano sul prato.
Erano davvero strani.

Kronos aveva sempre guardato a quel popolo bizzarro e sottosviluppato con un sentimento di superbo disinteresse. Davanti a lui, quegli insetti erano tutti uguali. Con le loro piccole vite, tutte identiche da secoli, nascita e morte, veglia e sonno, lavoro e riposo. Per non parlare delle loro ridicole necessità corporali! Introdurre solidi e liquidi nel proprio corpo erano attività di per sé umilianti, ma espellerli era davvero il colmo della volgarità. Ricacciò con un brivido di turbamento  il pensiero dei loro accoppiamenti.

Ora che li osservava con il binocolo però, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, iniziava ad apprezzare le diversità, le peculiarità di ciascuno. Rimase talmente conquistato dalla magia della varietà umana, che si sentì in colpa per non essersi mai curato della loro esistenza.

Decise così di chiamare la Fretta, sua vecchia conoscente, per condividere con lei quelle riflessioni. La Fretta era un essere meraviglioso, dotato di una bellezza sfuggente e imperfetta, ma assolutamente sensuale. Kronos le espresse le sue perplessità sul genere umano davanti a un bicchiere di annata, ma lei pareva non ascoltarlo. Lo guardava con aria maliziosa, cominciò immediatamente a fargli delle avances e nel giro di un orologio lo sedusse, naturalmente saltando i preliminari.
Kronos non apprezzò affatto quest'ultimo particolare. Di solito era lui a consumare, in quell'occasione era stato consumato. Si sentiva usato. Non si erano scambiati nemmeno un paio di secondi, per Zeus!

Gli effetti di questo incontro sugli esserini non si fecero attendere.
Il tempo accelerò, sempre di più.
Fu il giorno. Poi la notte. Poi, subito, ancora giorno. Poi notte. Giorno. Notte.
Il sole e la luna si rincorrevano all'infinito. Durava tutto pochissimo.
Non si faceva in tempo a poggiare la testa sul cuscino che si era già svegli. Tutti si scontravano senza posa. Non si arrivava mai in tempo per prendere il pullman. I film al cinema non avevano il tempo di finire che già venivano programmati in TV. Aumentavano a dismisura le donne insoddisfatte.
Una situazione del genere non poteva durare per sempre.
Presto dagli esserini iniziarono a levarsi grida di protesta. Cori e striscioni venivano innalzati contro il tempo, così forti che giunsero fino alle orecchie di Kronos. Questi, ancora alle prese con la Fretta -non sapeva più come sbarazzarsi di quella ninfomane- corse al binocolo e osservò i danni provocati dalla sua distrazione. Uomini stravolti, scomparsa di valori, aziende elettriche in fallimento.
-Fuori di quiiiiiiiiiii, urlò furioso verso la Fretta, lanciando una clessidra verso la maliarda seduttrice. -Dovevo saperlo che era una cattiva consigliera, pensò amareggiato.

Il mondo era al collasso. Gli anni ormai duravano millisecondi. Le imprecazioni della gente non gli arrivavano nemmeno più all'orecchio, se non sotto forma di maledizioni sinaptiche, forma di insulto più veloce dell'universo conosciuto.
Fu in quel momento che Kronos si sentì veramente molto triste.

Stava quasi per piangere dei propri fallimenti, quando bussarono alla porta.
-Toc toc
-Chi è?
-Scusi, il Ritardo.
-No prego entri pure, nemmeno la aspettavo. Vuole dirmi chi è?
-Gliel'ho appena detto, il Ritardo.
-Si accomodi.
-Alla buon ora
-Questo dovrei dirlo io, mi perdoni. Piacere, Kronos.
-Salve. Mi chiamo Ritardo. Vengo sempre 10 minuti dopo.

Kronos rimase disgustato dalla battuta, ma quel giovane brillante gli metteva parecchia allegria. Si sfogò degli umani e della Fretta, mentre sgranocchiavano un paio di cronometri. L'atmosfera era decisamente rilassata, informale, da moltissimo tempo Kronos non aveva più provato quella sensazione di serenità.

-Sappi, vecchio titano – disse Ritardo mentre il giorno e la notte riprendevano la loro durata naturale, i treni si scusavano per il disagio, le donne tornavano ad esultare – sappi che anche se adesso mi adori, mi odierai presto, se non vuoi avere figli!!!
-Ma quali figli, stai scherzando? Ho mangiato quelli della mia ex-moglie, inoltre sono certo che sia anatomicamente impossibile.

Quella volta, per la prima volta, il tempo tiranno diede torto a sé stesso.
E il miracolo della vita sfidò le leggi  della vita stessa.
I piccoli ritardatari nacquero, si diffusero e popolarono quello strano pianeta, riportando la pace e l’equilibrio.
Ora che ne conoscete la vera storia, diffidate da chi disprezza i ritardatari, popolo eletto.


venerdì 15 gennaio 2010

bufalismi


Il bene è un caviale di cui non sempre possiamo cibarci.
L'esistenzialismo, un'amante esperta che ci coglie ancora vergini.
Credere, una bussola senza punti cardinali.
La vita, una metafora dell'universo.
La notte, la follia.
Io blu.

crawlers

...and crawling, on the planet´s surface some insects, called the human race.
Lost in time, and lost in space.
And in meaning.

Rocky Horror Picture Show

domenica 3 gennaio 2010

neve

Sarebbe dovuto arrivare a destinazione alle 23.06. L'ultimo treno notturno attraversava le Alpi a velocità sostenuta. Viaggiava solo, come sempre. Il suo sguardo era rivolto al finestrino, dal quale osservava il muretto di pietra che delimitava il percorso ferroviario. Quello scorrere velocissimo, impossibile da catturare in memoria come un'istantanea, e per questo archiviato come una linea continua, sfuggente e infinita, rievocò in lui quella scena di Strade Perdute , in cui i fari di un'auto illuminano la segnaletica di mezzeria di una strada buia, e sembrano portare direttamente all'indefinibile punto di origine dell'oscurità e dell'oblio.

Aldilà del muretto, corposi assembramenti di neve definivano l'esistenza di un territorio circostante che, altrimenti, sembrava essere stato completamente inglobato dal buio.

Il treno rallentò, prima di entrare in una piccola stazione locale. Avvertì un brivido di freddo, non seppe dire se per uno spiffero del finestrino, o perchè l'osservazione di quel paesaggio invernale ne aveva surrogato la percezione sensibile.

Una voce all'altoparlante annunciò il nome del paese, ma quando il treno si fermò non vide nessuno scendere. I minuti passarono, una sottile patina di neve andava ricoprendo i binari, sgombri grazie al continuo traffico ferroviario.

Il controllore venne ad avvertirlo. Il maltempo persistente aveva provocato un inconveniente tecnico alla macchina: vista l'ora e l'impossibilità di proseguire senza un'adeguata riparazione, il treno avrebbe terminato lì il suo percorso. Aggiunse un superfluo “Mi dispiace”.


Una rabbia cieca lo invase, ma delle circa settantamila reazioni nervose che attraversarono il suo cervello in quella frazione di secondo, nessuna raggiunse la lingua materializzandosi in verbo.

Raccolse il suo zainetto, scese nel gelo e iniziò a vagare.

Il paese era squallido. Al centro di una valle, completamente circondato da montagne, sembrava il buco di culo dell'umanità. Un buco dal quale tuttavia era stata sottratta l'umanità, visto che in giro non c'era anima viva. Il bar davanti alla stazione, che in base a una rapida analisi delle dimensioni dell'abitato doveva essere anche l'unico, era naturalmente chiuso. Le luci delle case erano spente, o schermate dalle spesse imposte anch'esse chiuse.

Non aveva un soldo. Nessun cellulare. La meta, beh quella era chiaramente andata a farsi fottere.

Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette mezzo accartocciato, dal quale estrasse ciò che rimaneva di una sigaretta. Cerco l'accendino in tutte le tasche, imprecò in sei lingue poiché sembrava essere misteriosamente scomparso. Alla fine spuntò fuori: era nella prima tasca in cui aveva cercato. Accese con sforzi immani la sigaretta. Aspirò avidamente.

Dopo alcuni minuti, iniziò a sentire l'assideramento svilupparsi dalle punte dei piedi e propagarsi rapidamente verso il resto del corpo. Ma non gliene fregava un cazzo di morire, mentì eroicamente a sé stesso.

Finalmente svenne.

Quando riaprì gli occhi, sperò di non essere in paradiso. Si sarebbe sentito in colpa. Certo nemmeno all'inferno. Non gli piaceva molto soffrire.

Un buon compromesso sarebbe andato bene, come al solito. Un bel purgatorio, né carne né pesce, la sintesi della sua vita. Sì, lo avrebbe apprezzato.

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iperrealtà


Viviamo una realtà in cui i flussi di informazione orientano la percezione della realtà stessa da parte delle persone. Il pluralismo di fonti, se mai è esistito, non c'è più. E' stato rimpiazzato da un pluralismo di media, o meglio da gruppi definiti dall'utilizzo di uno specifico medium. Il prodotto di questa babele è un dibattito caotico e sterile tra opinionizzati acritici, che si muovono all'interno della società rimodellandola secondo gli schemi proposti dalle rispettive fonti di provenienza. Il risultato è un'iperrealtà, in cui il mondo reale è esteso da quello massmediatico. Quest'ultimo, come una protesi che non risponde più al corpo in cui è stata installata, inizia a modificarne le funzioni condizionandone l'essenza.
Gli strumenti comunicativi sono non solo il teatro dello scontro tra gruppi sociali. Ne sono l'oggetto.
COMMENTI:
@dejanna Tutto deve essere ricondotto ad una visione complessa del reale, la realtà non è semplice, e se prima le nostre interpretazioni si complicavano per tentare di capire la realtà intesa come "semplice", adesso, che la realtà stessa si è complicata, spetta all'uomo il compito di semplificarla! Il pluralismo, così come ci è stato insegnato, non è più ermeneutico, ma ontologico. Le cose stanno riacquistando la forza che le interpretazioni le avevano sottratto.
La tua frase: "gli strumenti comunicativi sono non solo il teatro dello scontro tra gruppi sociali. Ne sono anche l'oggetto", diventa: "gli strumenti comunicativi non sono il teatro, sono l'oggetto degli gli scontri sociali". La differenza è sostanziale e ha implicazioni notevoli.

@andreabros sono fondamentalmente d'accordo, ma credo che gli strumenti comunicativi mantengano il loro ruolo ermeneutico, per quanto con le arcinote distorsioni derivanti dalla natura di ogni specifico medium. la proliferazione degli strumenti comunicativi li porta tuttavia a essere, oltre che mezzi interpretativi della realtà (come avveniva già in precedenza), anche mezzi di trasformazione del reale e territorio di scontro sociale.

@dejanna Ciò che contesto è la natura stessa di "mezzo" dei media. In un mondo dove tutto è "mezzo" (l'essere umano stesso è spesso considerato un "mezzo") dire che una cosa è un "mezzo" è non dire nulla di più. Reputo più onesto approcciarsi ai media in maniera "ingenua", come se fossero dei semplici oggetti, di modo che si possano raccontarc per quello che realmente sono e non per quello che dovrebbero essere.

@andreabros dejana...ma vaffanculo tu e il tuo puntiglio filologico :D :D