lunedì 30 novembre 2009

primi vagiti

A volte la mente è vuota. L'uomo prova a pensare, ad analizzare, a trovare un senso alle proprie azioni. Si pone in ascolto di sé stesso. Caparbio, s'interroga.

Risultato? Il nulla.

Domande troppo generiche. Risposte troppo specifiche. Senso di incompetenza cognitiva, di inadeguatezza sensoriale, di inconsistenza morale.


Priamo Lodi pensava che di fronte a tutto questo avrebbe dovuto sentirsi in colpa. Quale razza di uomo, intento ad esplorare le cavità oscure della propria anima, viaggia senza almeno una torcia o un accendino? Quale folle riesce, guardandosi dentro e non trovando niente, a rimanere impassibile?


Stringendo un po' più forte il manico d'osso del suo Miracle Blade, Priamo realizzò che il suo atteggiamento, più che impassibile, poteva definirsi sereno. Questa sensazione lo inondò di un senso di potenza, che egli riversò nuovamente sul coltello. Le nocche delle sue mani assecondarono la contrazione, divenendo via via più bianche.

-E' dunque questa la vera felicità! -si disse Priamo entusiasta. Perfettamente insensibile.

Con lentezza teatrale, sollevò l'enorme lama sulla propria testa, poi di colpo la calò sulla cipolla che, inerme, giaceva sul tagliere adagiato sul tavolo della cucina. Il rumore fu secco, la cipolla si divise docilmente in due parti identiche. Fischiettando, Priamo iniziò a sminuzzare l'ortaggio in pezzi microscopici, con una rapidità e una dimestichezza impressionanti. Le prime lacrime scendevano dai suoi occhi indemoniati.

-Almeno questa mi fa piangere, sghignazzò garrulo.

Nella stanza accanto, a qualcuno si torsero le budella.




L'unico altro rumore percepibile era lo sciabordio delle onde, che si infrangevano sul bagnasciuga con costanza millenaria. Le faceva pensare a quando d'estate, ancora adolescente, si addormentava con la finestra aperta, entrando nel sonno cullata da quel suono rilassante.

Il contrasto stridente tra quel ricordo e la sua situazione attuale, legata a una sedia, in casa di uno psicopatico sconosciuto, non fece altro che accrescere la sua ansia. Il cuore iniziò a pompare a un ritmo forsennato e incontrollabile.

D'improvviso, un lampo le accecò il cervello quando realizzò tutto. Nonostante la scarsa lucidità di quel momento, il suo subconscio aveva rimesso insieme i pezzi offrendole un quadro assolutamente plausibile. In effetti l'aveva fatta grossa, come aveva fatto a non pensarci prima? Non puoi distruggere, calpestare, oltraggiare senza pensare di pagarne le conseguenze. Aveva bruciato troppa terra dietro di sé. -Tutta colpa della tua smisurata ambizione- le disse l'ologramma di sua madre, che nel frattempo le si era materializzato davanti.

-L'ho fatto perchè sono infelice, non capisci idiota- rispose urlando nel buio.

Il senso di colpa le pervase le arterie come un fiume nero. L'ultima cosa che vide, prima di svenire, fu l'immagine sfocata del pazzo che si avvicinava verso di lei sorridendo.

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martedì 24 novembre 2009

mare dentro un mare 2009-11-24


Sea Within a Sea
Some say we walk alone
Barefoot on wicked stone no light
and sanctuary found never waits around awhile

Marching to the sea
their dreams stay in the shadows
their dreams stay firmly rooted in the shallows
See the scraping sky
See my destination there tonight

So say I walk alone barefoot
on wicked stone tonight
Will you leap to follow
Will you turn and go
Will your dreams stay rooted in the shallows

See the scraping sky
Far beyond the shallows
Far beyond the reaches of the shadows

Though youth may fade with boyhood´s cares
New fear will catch us unawares
I know it will

So you might say
the path we share is one of danger
and of fear
until the end

The Horrors

giovedì 19 novembre 2009

il tempo delle figure di merda

Anche Fabrizio Ciba si stava scolando un doppio scotch, seduto a un tavolino appartato. Non ci poteva pensare che c'era il rischio che il filmino porno girasse su internet.

-Frate'! - Paolo Bocchi avanzava verso il tavolino con un altro Mojito in mano. Da come bracollava doveva essere già ubriaco. Gli occhi iniettati di sangue
, sudato come se avesse appena finito una partita di basket. Sotto le maniche della giacca si erano formati due aloni scuri.  Si era slacciato la giacca e sbottonato la camicia, si intravvedeva il bordo della canottiera di lana. La patta dei pantaloni era aperta.

Il chirurgo acchiappò il collo a Fabrizio. -Che stai a fa' solo soletto?

Lo scrittore non ebbe nemmeno la forza di reagire. -Niente.

-Mi hanno detto che hai letto una poesia grandiosa. Peccato, ero al cesso, me la son persa.

Ciba si accasciò sul tavolo.

-Ti vedo abbattuto. Che è successo?

-Rischio di fare una figura di merda  planetaria.

Bocchi si sedette sulla sedia accanto alla sua e si accese una sigaretta, prendendo grandi boccate.

I due rimasero in silenzio per un po'. Poi il chirurgo sollevò la testa verso il cielo e cacciò fuori una

nuvola di fumo. - Che palle Fabrizio. Ancora con sta storia?

-Quale storia?

-Quella delle figure di merda. Da quanto ci conosciamo?

-Da troppo tempo.

Bocchi non si offese. -Dal liceo non sei cambiato di una virgola. Sempre ossessionato da ste figure di merda. Come se ci fosse qualcuno che sta sempre a giudicarti. Te lo devo spiegare io? Tu fai lo scrittore e a certe cose dovresti arrivarci da solo.

Fabrizio si girò spazientito verso il suo compagno di scuola. -Cosa? Di che parli?

Bocchi sbadigliò. Poi gli prese la mano. -Allora non hai capito. Iltempo delle figure di merda è finito, morto, sepolto. Se n'è andato per sempre con il vecchio millennio. Le figure di merda non esistono più, si sono estinte come le lucciole. Nessuno le fa più, trenne te, nella tua testa. Ma non li vedi a questi? -Indicò la massa che applaudiva Chiatti. -Ci ricopriamo di letame felici come maiali in un porcile. Guarda me, per esempio. Si alzò in piedi barcollando. Allargò le braccia come a mostrarsi a tutti, ma gli girò la testa e si dovette sedere di nuovo. -Io mi sono specializzato a Lione con il professor Roland Chateau-Beaubois, ho la cattedra ad Urbino, sono un primario. Guarda come sto ridotto. Secondo i vecchi parametri sarei una figura di merda ambulante, un essere infrequentabile, un tossico, un personaggio spregevole che si fa ricco sulle debolezze di quattro carampane, eppure non è così. Sono amato e rispettato. Vengo invitato pure alla festa della Repubblica al Quirinale e in ogni cazzo di trasmissione medica. Scusa, ma andando sul personale...Quel programma che hai fatto in televisione non era una grezza?

Ciba provò a difendersi. -Veramente...

-Lascia perdere. Era una grezza.

Fabrizio fece un cenno di assenso.

-E quella storia con quella, la figlia...Non mi ricordo, vabbè era una figura di merda.

Ciba fece una smorfia di dolore. -Vabbè adesso basta.

-E che ti è successo? Nulla di nulla. Quante copie in più hai venduto con tutte queste teoriche figure di merda? Una cifra. E tutti dicono che sei un genio. Quindi, lo vedi che vieni a me?Quelle che tu chiami figure di merda sono sprazzi di splendore mediatico che danno lustro al personaggio e che ti rendono più umano e simpatico. Se non esistono più regole etiche ed estetiche le figure di merda decadono di conseguenza.

Bocchi lo abbracciò affettuosamente. -E poi lo sai che è l'unico che non ha mai fatto figure di merda in vita sua?Nemmeno una?

Lo scrittore fece no con la testa.

-Gesù Cristo. In trentatre anni non ne ha fatta nemmeno una. E con questo ho detto tutto.



[Niccolò Ammaniti, Che la festa cominci,2009]

lunedì 16 novembre 2009

ceraunavolta

C'era una volta un paese in cui tutti si lamentavano. Dal mattino alla sera. Da Nord a Sud.

C'era chi l'aveva addirittura definito "lo sport nazionale".

Era come un virus debilitante, un tarlo del genoma, un difetto di fabbricazione. Tutti lo sapevano, e tutti se ne lamentavano.

I vecchi si lamentavano dei giovani, ritenendoli degli inetti senza nerbo, incapaci persino di allacciarsi le scarpe da soli, nonostante avessero incontrato un terzo delle loro difficoltà.

I giovani si lamentavano dei vecchi, troppi, sempre lì a borbottare e intanto tutti a tenersi stretta la sedia e la pensione. "Pensa che al mio fratello maggiore la nonna sganciava sempre", raccontavano alcuni ragazzi, riempiendo di sorpresa gli occhi dei compagni. "Te lo dico io perchè non trovo lavoro", si sentiva nei discorsi dei giovani: "Perchè ci sono tutti sti vecchi tromboni attaccati alla poltrona. Quelli non schiodano nemmeno se gli offri il Viagra".

Le donne si lamentavano degli uomini. Creature dall'intelligenza limitata, che puntavano tutto sulle proprie doti fisiche belluine, spesso con risultati agghiaccianti. I pochi dotati di un barlume di cervello tuttavia erano persino peggio: sempre invariabilmente mostruosamente soporiferi.

Naturalmente, gli uomini si lamentavano delle donne. Quello era stato uno snodo cruciale del loro seppur breve percorso evolutivo, nel quale essi avevano dimostrato una sorprendente adattività, trasformandola nel noto comportamento rassegnato che gli studiosi denominano "asseconda la tritapalle". L'ultimo periodo tuttavia aveva minato parecchie loro certezze, così avevano iniziato a lamentarsi dei gay.

Il giornalaio si lamentava dei fornitori che consegnavano in ritardo. La zia del nipote che non le faceva mai visita. Il figlio della pasta scotta. Il cane del chappi. La madre della finestra rotta. Ogni tanto sembrava che i motivi per lamentarsi stessero per finire, allora tutti quanti, in preda al panico, si adoperavano per trovarne altri, sempre più geniali. A guardarlo dall'esterno, quello era un popolo davvero talentuoso. Anche se chi ci viveva si lamentava della mancanza di talenti e del fatto che i pochi presenti fuggissero tutti all'estero, lamentandosi tra l'altro di doverlo fare.

A ben pensarci però, non tutti si lamentavano per cose diverse. Anzi, esisteva qualcosa di cui incredibilmente si lamentavano tutti insieme, con una costanza e una coralità eccezionali. I soldi.



Un giorno i Lamentosi si ritrovarono tutti a una grande assemblea, anche se nessuno di loro ricordava come ci era finito. Erano nel giardino di una grande villa, c'era un rinfresco delizioso e l'atmosfera sembrava molto accogliente. La musica era celestiale, si nutriva di note allegre e suoni armonici, mettendo tutti a proprio agio.



-Scusate, urlò un signore che si era avvicinato al banchetto. Io sarei vegano. Non c'è qualche tartina con salsa di soia?



-A me non piace la soia, ribattè un altro. Perchè dovrei sorbirmi pure io la tua insulsa soia?



-Io sono intollerante al lattosio. Aggiunse un terzo. Se a qualcuno interessa. E' una brutta bestia sa?



Poco distante, alcuni signori si radunavano davanti all'ingresso della villa, esaminandolo con occhiali spessi ed espressioni supponenti.



-Secondo me per una villa così sarebbe stato molto più adatto un prodròmos come quello del Tempio di Corinto, avrebbe conferito una maestosità diversa a tutto l'edificio...



-Cosa dici vecchio piffero, lo interruppe il suo vicino, sbuffandogli deliberatamente in faccia il fumo della sua pipa. In un giardino del genere manca una compenetrazione proporzionale tra edificio e natura, secondo il modello di Le Corbusier...



-Voi non capite, gli attrezzi, non c'è spazio per la trebbia e nemmeno per il trattore e le bestie, dove diavolo le mettono le vacche qui secondo voi? soggiunse un terzo interlocutore dotato di salopette e cappello di paglia.



Nel giro di dieci minuti la nutrita compagnia aveva già scatenato un baccano infernale. Ognuno urlava la sua versione su qualsiasi argomento, anche se non interpellato, cercando di superare il tono di voce dei propri interlocutori, alcuni invece erano già passati alle mani.

In quel momento uscì dalla villa un signore molto alto, ammantato di un carisma luminoso che donava al suo incedere qualcosa di magico. Tutti si voltarono come inebetiti di fronte alla sua presenza. Calò un silenzio improvviso. Le labbra dell'uomo non si mossero, ma tutti udirono distintamente le sue parole.











Io sono il Capo

Qui vive la mia gente

la mia è una società

in cui profitto è immateriale

in cui conta la morale

A tutti è concessa

piu d'una possibilità

anche a voi Lamentosi,

prima di tornare qua.

Ma basta recriminare

siate volonterosi

non si lascia mai la barca

per placare i marosi



Ma che cosa vi piglia?

Non riuscite a capire

l'umanità di chi è figlia

non certo del denaro,

di stelle o di strisce

che il cuore rende avaro

divide e punisce

è figlia dell'amore

di un luogo sereno

di cui neanche io

so fare a meno

si chiama famiglia.





A quel punto si svegliarono.



















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