domenica 28 novembre 2010

decostruzioni

Il buio potrà anche non aiutare la vista.
Ma certamente offre esperienze primitive agli altri sensi.
L'olfatto è denso, pregno e carico. Di rabbia, di solchi. Di sbuffi di tensione impossibili da descrivere eppure così facili da respirare.
L'udito è una molla in sospensione, pronta a scattare alla minima vibrazione prodotta dal respiro dell'altro.
Il tatto è uno spazio di libertà e di movimento, ma contemporaneamente di attesa e paura.
Attesa e paura che la prima mossa venga fatta.

Eppur nulla si muove. I due corpi rimangono in quello stallo di tensione nevrotica, specchi fedeli delle menti che li comandano.
Le parole ovviamente sarebbero di troppo. L'aria è talmente satura di elementi, da non poter sopportare un ulteriore livello di scontro.

Non ci sono pareti, solo il vuoto li circonda. Un vuoto enorme, siderale, emblematico. Il loro.
Rimangono così ancora un po' i due corpi, annichiliti dalla potenza della loro stessa creazione. A chiedersi silenziosamente perchè si renda necessario un'atto finale. Perchè le cose non possano rimanere in sospensione per sempre, senza essere spiegate. Perchè l'uomo non sia in grado di convivere con le porte socchiuse, ma solo con quelle spalancate o sprangate.

-Perchè la storia è ciclica. Circolare. Perchè la fine ne è il senso, risponde Dio ad entrambi, interiormente.
La risposta li lascia insoddisfatti, ma non desiderosi di replicare.

Man mano che si avvicinano, sentono i pensieri evaporare. I ricordi scomparire, i sentimenti affievolirsi. La tensione sciogliersi, l'anima fuggire.
Gli ultimi ad andarsene sono i sensi, nudi.

lunedì 8 novembre 2010

Artis...si, ma...

Sabato sono andato ad Artissima.
Ci sono andato da solo, spinto da motivazioni personal-intellettuali che non sto qui a spiegare.
La location ove si svolgeva la kermesse, che richiama annualmente più radical-chic e indie-like di una distribuzione gratuita di occhiali da nerd, era l'oval del lingotto.
L'installazione principale era una casa (due piani, dimensioni naturali) fatta di immondizia e riciclato, con tanto di scale ornate da bucce di banana, pareti di cartone e sperimentazione distribuita un po' qua e un po' là.
Ora, a me piace la sperimentazione. La provocazione. L'originalità. La rottura col passato e con gli schemi. Tutto quello che vuoi.
Però se ho appena sborsato 15 euro per vedere non dell'arte, ma il suo superlativo, e poi mi presenti l'apoteosi della monnezza, mi girano anche un po' i coglioni.
Il tutto poi condito da una sfilata di personaggi cool, torinesi e non, che se già meritavano badilate in faccia per l'abbigliamento (maglioni da artista - ovvero sdruciti e dai colori improbabili - bretelle, quadrettoni ovunque, maschi coi fuseaux, sembrava un incubo in stile lynch), offrivano il fianco a una dose supplementare di randello con espressioni di supponenza a malapena giustificabili dopo la creazione di un giardino dell'Eden.
E invece no. Il massimo della creazione ad Artissima era una casa di immondizia.
Vabbè che l'attualità fa scuola, vabbè che il riciclo dei materiali è la risorsa del futuro, ma il senso estetico non dovrebbe elevarsi almeno un po' dal reale? Non è questa la sua missione? Che volete, sarò io l'ignorante.

giovedì 4 novembre 2010

2010 odissea della ratio

In questa fase di grandi incertezze, che attraversa tutti gli ambiti della società occidentale, dall'asse economico a quello sociale, da quello morale a quello politico, è sempre più centrale il ruolo giocato dall'informazione.
In particolare, ci si chiede sempre più spesso quali sia il trade-off ideale tra pubblicazione e segretezza, tra diritto all'informazione e diritto alla sicurezza, tra visibilità sottesa alla funzione pubblica e tutela della privacy, tra censura selettiva delle notizie e proliferazione incontrollata e inattendibile di rumours.

L'Italia è in questo momento un drammatico esempio di questa lacerazione.
Da un lato un potere politico accentratore, che detta alla catena mediatica proprietaria l'agenda delle notizie, mettendo in crisi un modello di pluralismo informativo che appare inalienabile a una società moderna. Viene da chiedersi a questo punto se l'Italia sia non solo una società, ma una civiltà moderna nel suo insieme.

Dall'altro lato, gruppi editoriali politicamente connotati si arrogano il ruolo di detentori di una verità di segno opposto, ma altrettanto assoluta e incontrovertibile. A questa corrente si accostano in folto ma disordinato sciame i bloggers, i citizen journalists e in generale una fetta maggioritaria dei fruitori abituali della Rete, che utilizzano questo medium anche o soprattutto in virtù della sua distanza dai media mainstream.

Questa opposizione - anche ideologica - genera uno scontro verbalmente e istituzionalmente sanguinoso, in quanto il primo gruppo tenta di chiudere preventivamente il rubinetto del dissenso, anche se talvolta si tratta solo di un gocciolìo, mentre il secondo gruppo sfrutta qualsiasi varco per danneggiare politicamente l'avversario, compresa la diffamazione gratuita.

La questione - che potrebbe essere solamente di concetto- ma è anche di terribile attualità, è la seguente: la vita pubblica DEVE essere condivisa?

La risposta è troppo complessa per essere univoca. 
I difensori della privacy sostengono, non a torto, che una scena pubblica costantemente sotto l'occhio dei media provochi inevitabilmente un problema di instabilità politica. 
D'altronde la trasparenza si rende necessaria, specie in una contingenza come quella attuale che vede un assottigliamento generalizzato delle risorse disponibili e impone dunque un controllo severo della gestione delle stesse.

Tuttavia è inquietante e non risolutivo pensare al nostro mondo come al GF collettivo immaginato da Orwell poco più di 50 anni fa. Seguono infatti problemi endogeni di authorship: chi racconta cosa, quanto è attendibile, per quale motivo lo fa?

E allora? Come ci si pone di fronte alla crescente complessità e varietà del sistema mediatico? Come si preservano due diritti fondamentali dell'uomo, come il diritto all'informazione e la libertà di espressione, garantendo contemporaneamente la sicurezza degli Stati? Di certo non gettando in pasto a una popolazione (solo apparentemente) lobotomizzata un surrogato di informazione parziale ed edulcorata, ansiogena e rassicurante a seconda della strategia messa in atto dal potere.

Le possibilità offerte dai nuovi media hanno visto l'emergere dei cittadini come partecipanti e attivisti dell'informazione, non più come semplici fruitori. Ciò ha creato un enorme rumore, problemi di attendibilità e verifica delle fonti, ma anche una sensazionale e decisiva affermazione del pluralismo, come entità e sostanza.

Al momento politica e informazione continuano a combattersi, cercando di segnare il confine delle competenze dell'una nei confronti dell'altra, come se si trattasse di due unità mutuamente esclusive e prive di correlazione.
I conflitti istituzionali in atto sono guidati in parte da giochi di potere in stile prima repubblica, in parte da torbidi interessi economici; ma la loro diffusione ed eco è stata determinata indubbiamente dai media digitali, dal citizen journalism, dai movimenti dal basso, dalla forza dei molti.

Per quanto la politica tradizionale si ostini, come di consueto, ad ignorare le voci del presente, attestandosi presuntuosamente su posizioni reazionarie e di chiusura, i recenti avvenimenti nordafricani sono il segno dei tempi che cambiano.

Politica e informazione sono ormai due facce della stessa medaglia. I molti cittadini che vogliono partecipare attivamente a questa fase di transizione, stanno via via scoprendo e cavalcando le potenzialità di una democrazia tecnocratica allargata. Che non significa che tutti debbano fare politica. Ma comporta lo sfruttamento della Rete come luogo di dibattito di questoni pubbliche. Comporta lo sgretolamento di una politica elitaria e oligarchica. Comporta un ripensamento delle modalità di costruzione dell'intera comunità, non più top-down ma bottom-up.