lunedì 16 novembre 2009

ceraunavolta

C'era una volta un paese in cui tutti si lamentavano. Dal mattino alla sera. Da Nord a Sud.

C'era chi l'aveva addirittura definito "lo sport nazionale".

Era come un virus debilitante, un tarlo del genoma, un difetto di fabbricazione. Tutti lo sapevano, e tutti se ne lamentavano.

I vecchi si lamentavano dei giovani, ritenendoli degli inetti senza nerbo, incapaci persino di allacciarsi le scarpe da soli, nonostante avessero incontrato un terzo delle loro difficoltà.

I giovani si lamentavano dei vecchi, troppi, sempre lì a borbottare e intanto tutti a tenersi stretta la sedia e la pensione. "Pensa che al mio fratello maggiore la nonna sganciava sempre", raccontavano alcuni ragazzi, riempiendo di sorpresa gli occhi dei compagni. "Te lo dico io perchè non trovo lavoro", si sentiva nei discorsi dei giovani: "Perchè ci sono tutti sti vecchi tromboni attaccati alla poltrona. Quelli non schiodano nemmeno se gli offri il Viagra".

Le donne si lamentavano degli uomini. Creature dall'intelligenza limitata, che puntavano tutto sulle proprie doti fisiche belluine, spesso con risultati agghiaccianti. I pochi dotati di un barlume di cervello tuttavia erano persino peggio: sempre invariabilmente mostruosamente soporiferi.

Naturalmente, gli uomini si lamentavano delle donne. Quello era stato uno snodo cruciale del loro seppur breve percorso evolutivo, nel quale essi avevano dimostrato una sorprendente adattività, trasformandola nel noto comportamento rassegnato che gli studiosi denominano "asseconda la tritapalle". L'ultimo periodo tuttavia aveva minato parecchie loro certezze, così avevano iniziato a lamentarsi dei gay.

Il giornalaio si lamentava dei fornitori che consegnavano in ritardo. La zia del nipote che non le faceva mai visita. Il figlio della pasta scotta. Il cane del chappi. La madre della finestra rotta. Ogni tanto sembrava che i motivi per lamentarsi stessero per finire, allora tutti quanti, in preda al panico, si adoperavano per trovarne altri, sempre più geniali. A guardarlo dall'esterno, quello era un popolo davvero talentuoso. Anche se chi ci viveva si lamentava della mancanza di talenti e del fatto che i pochi presenti fuggissero tutti all'estero, lamentandosi tra l'altro di doverlo fare.

A ben pensarci però, non tutti si lamentavano per cose diverse. Anzi, esisteva qualcosa di cui incredibilmente si lamentavano tutti insieme, con una costanza e una coralità eccezionali. I soldi.



Un giorno i Lamentosi si ritrovarono tutti a una grande assemblea, anche se nessuno di loro ricordava come ci era finito. Erano nel giardino di una grande villa, c'era un rinfresco delizioso e l'atmosfera sembrava molto accogliente. La musica era celestiale, si nutriva di note allegre e suoni armonici, mettendo tutti a proprio agio.



-Scusate, urlò un signore che si era avvicinato al banchetto. Io sarei vegano. Non c'è qualche tartina con salsa di soia?



-A me non piace la soia, ribattè un altro. Perchè dovrei sorbirmi pure io la tua insulsa soia?



-Io sono intollerante al lattosio. Aggiunse un terzo. Se a qualcuno interessa. E' una brutta bestia sa?



Poco distante, alcuni signori si radunavano davanti all'ingresso della villa, esaminandolo con occhiali spessi ed espressioni supponenti.



-Secondo me per una villa così sarebbe stato molto più adatto un prodròmos come quello del Tempio di Corinto, avrebbe conferito una maestosità diversa a tutto l'edificio...



-Cosa dici vecchio piffero, lo interruppe il suo vicino, sbuffandogli deliberatamente in faccia il fumo della sua pipa. In un giardino del genere manca una compenetrazione proporzionale tra edificio e natura, secondo il modello di Le Corbusier...



-Voi non capite, gli attrezzi, non c'è spazio per la trebbia e nemmeno per il trattore e le bestie, dove diavolo le mettono le vacche qui secondo voi? soggiunse un terzo interlocutore dotato di salopette e cappello di paglia.



Nel giro di dieci minuti la nutrita compagnia aveva già scatenato un baccano infernale. Ognuno urlava la sua versione su qualsiasi argomento, anche se non interpellato, cercando di superare il tono di voce dei propri interlocutori, alcuni invece erano già passati alle mani.

In quel momento uscì dalla villa un signore molto alto, ammantato di un carisma luminoso che donava al suo incedere qualcosa di magico. Tutti si voltarono come inebetiti di fronte alla sua presenza. Calò un silenzio improvviso. Le labbra dell'uomo non si mossero, ma tutti udirono distintamente le sue parole.











Io sono il Capo

Qui vive la mia gente

la mia è una società

in cui profitto è immateriale

in cui conta la morale

A tutti è concessa

piu d'una possibilità

anche a voi Lamentosi,

prima di tornare qua.

Ma basta recriminare

siate volonterosi

non si lascia mai la barca

per placare i marosi



Ma che cosa vi piglia?

Non riuscite a capire

l'umanità di chi è figlia

non certo del denaro,

di stelle o di strisce

che il cuore rende avaro

divide e punisce

è figlia dell'amore

di un luogo sereno

di cui neanche io

so fare a meno

si chiama famiglia.





A quel punto si svegliarono.



















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