lunedì 6 dicembre 2010

l'essenzialita dell'ovvio

G. si puliva la suola della Clark sullo spigolo di un marciapiede, nauseato dall'intenso odore di merda di cane che andava spandendosi nell'aria, secondo una sua impressione in maniera sempre più invasiva ad ogni spalmata. Mentre replicava con la gamba i movimenti di un tacchino in assetto da combattimento, sul suo volto si alternavano due espressioni. La prima era di paura, paura che qualcuno dei passanti lo vedesse in un momento così penoso. E poichè ciò puntualmente avveniva, G. continuava a guardarsi attorno con circospezione, cercando di coordinare i movimenti della sua gamba con le occhiate distratte dell'umanità deambulante.
La seconda espressione era di disgusto: ogni qualvolta qualcuno dei passanti si fermava a fissarlo, lui assumeva una faccia schifata, come a volersi liberare dal senso di colpa insito nella pestata di merda. Come a voler dire: "Signori, guardate in che mondo viviamo! Uno non è neanche più libero di passeggiare per la città da onesto cittadino, che...splat! ti imbatti in queste terrificanti deiezioni che oltretutto puzzano in maniera intensissima! Certo non si può imputare il tutto a una mia goffa distrazione, ma anzi segnalerò questo abuso di inciviltà a specchio dei tempi!"

Mentre si recitava in testa il mantra autogiustificativo, da contrapporre nella probabilissima evenienza che qualcuno giungesse a schernirlo ("Ehi coglione, hai pestato un'altra merda eh? Sei quello dell'altra volta, ma perchè non guardi dove vai idiota!" ), giunse finalmente alla comprensione che a furia di sfregare, stava iniziando a consumare la suola. Altre due o tre grattate e si sarebbe ritrovato a piede nudo. Osservò con una punta di insoddisfazione la suola della Clark, che presentava ancora alcune inequivocabili macchie marroncine. Maledisse l'assenza di pioggia e pozzanghere e aiuole quando servono. Si lambiccò per qualche secondo all'idea di un paradiso terrestre in cui avrebbe potuto prendere sonoramente a calci in culo tutti i cani di cui aveva pestato gli escrementi nel corso della sua vita. Ed erano tanti!

Quindi, si avviò a passo deciso concludendo il suo inquietante monologo con l'imprescindibile classico "Che giornata di merda!".
Non si sentì meglio. Ma il suo mondo funzionava così.

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