giovedì 4 novembre 2010

2010 odissea della ratio

In questa fase di grandi incertezze, che attraversa tutti gli ambiti della società occidentale, dall'asse economico a quello sociale, da quello morale a quello politico, è sempre più centrale il ruolo giocato dall'informazione.
In particolare, ci si chiede sempre più spesso quali sia il trade-off ideale tra pubblicazione e segretezza, tra diritto all'informazione e diritto alla sicurezza, tra visibilità sottesa alla funzione pubblica e tutela della privacy, tra censura selettiva delle notizie e proliferazione incontrollata e inattendibile di rumours.

L'Italia è in questo momento un drammatico esempio di questa lacerazione.
Da un lato un potere politico accentratore, che detta alla catena mediatica proprietaria l'agenda delle notizie, mettendo in crisi un modello di pluralismo informativo che appare inalienabile a una società moderna. Viene da chiedersi a questo punto se l'Italia sia non solo una società, ma una civiltà moderna nel suo insieme.

Dall'altro lato, gruppi editoriali politicamente connotati si arrogano il ruolo di detentori di una verità di segno opposto, ma altrettanto assoluta e incontrovertibile. A questa corrente si accostano in folto ma disordinato sciame i bloggers, i citizen journalists e in generale una fetta maggioritaria dei fruitori abituali della Rete, che utilizzano questo medium anche o soprattutto in virtù della sua distanza dai media mainstream.

Questa opposizione - anche ideologica - genera uno scontro verbalmente e istituzionalmente sanguinoso, in quanto il primo gruppo tenta di chiudere preventivamente il rubinetto del dissenso, anche se talvolta si tratta solo di un gocciolìo, mentre il secondo gruppo sfrutta qualsiasi varco per danneggiare politicamente l'avversario, compresa la diffamazione gratuita.

La questione - che potrebbe essere solamente di concetto- ma è anche di terribile attualità, è la seguente: la vita pubblica DEVE essere condivisa?

La risposta è troppo complessa per essere univoca. 
I difensori della privacy sostengono, non a torto, che una scena pubblica costantemente sotto l'occhio dei media provochi inevitabilmente un problema di instabilità politica. 
D'altronde la trasparenza si rende necessaria, specie in una contingenza come quella attuale che vede un assottigliamento generalizzato delle risorse disponibili e impone dunque un controllo severo della gestione delle stesse.

Tuttavia è inquietante e non risolutivo pensare al nostro mondo come al GF collettivo immaginato da Orwell poco più di 50 anni fa. Seguono infatti problemi endogeni di authorship: chi racconta cosa, quanto è attendibile, per quale motivo lo fa?

E allora? Come ci si pone di fronte alla crescente complessità e varietà del sistema mediatico? Come si preservano due diritti fondamentali dell'uomo, come il diritto all'informazione e la libertà di espressione, garantendo contemporaneamente la sicurezza degli Stati? Di certo non gettando in pasto a una popolazione (solo apparentemente) lobotomizzata un surrogato di informazione parziale ed edulcorata, ansiogena e rassicurante a seconda della strategia messa in atto dal potere.

Le possibilità offerte dai nuovi media hanno visto l'emergere dei cittadini come partecipanti e attivisti dell'informazione, non più come semplici fruitori. Ciò ha creato un enorme rumore, problemi di attendibilità e verifica delle fonti, ma anche una sensazionale e decisiva affermazione del pluralismo, come entità e sostanza.

Al momento politica e informazione continuano a combattersi, cercando di segnare il confine delle competenze dell'una nei confronti dell'altra, come se si trattasse di due unità mutuamente esclusive e prive di correlazione.
I conflitti istituzionali in atto sono guidati in parte da giochi di potere in stile prima repubblica, in parte da torbidi interessi economici; ma la loro diffusione ed eco è stata determinata indubbiamente dai media digitali, dal citizen journalism, dai movimenti dal basso, dalla forza dei molti.

Per quanto la politica tradizionale si ostini, come di consueto, ad ignorare le voci del presente, attestandosi presuntuosamente su posizioni reazionarie e di chiusura, i recenti avvenimenti nordafricani sono il segno dei tempi che cambiano.

Politica e informazione sono ormai due facce della stessa medaglia. I molti cittadini che vogliono partecipare attivamente a questa fase di transizione, stanno via via scoprendo e cavalcando le potenzialità di una democrazia tecnocratica allargata. Che non significa che tutti debbano fare politica. Ma comporta lo sfruttamento della Rete come luogo di dibattito di questoni pubbliche. Comporta lo sgretolamento di una politica elitaria e oligarchica. Comporta un ripensamento delle modalità di costruzione dell'intera comunità, non più top-down ma bottom-up. 



Nessun commento:

Posta un commento